mercoledì 29 gennaio 2014

Normalmente siamo soliti misurare, pesare e quantificare gli oggetti della nostra vita quotidiana e le materie prime che li compongono, utilizzando unità di misura come il peso e il volume e per avere un’idea più pratica, e di facile intendimento, traduciamo il tutto introducendo il suo valore economico.

Utilizziamo il Kg per il peso, il metro cubo per il volume, e pensando nel prezzo, impieghiamo la nostra moneta.

Questi sistemi di misura, benché molto descrittivi e immediati non risolvono però tutte le variabili e si limitano a contemplare solo le caratteristiche fisiche più visibili di un dato prodotto e quelle economiche derivate.

Vi è però la necessità di considerare, fra tutti, un fattore aggiuntivo, che risultando di vitale importanza non può certo passare in secondo piano.

Si tratta del cosiddetto costo ambientale, che si può desumere dall'analisi approfondita di tutte le fasi vitali di ogni oggetto o prodotto: creazione, distribuzione, messa in opera, uso e disposizione finale, parlando  in termini di ciclo di vita.

Attraverso l’analisi del ciclo di vita, (ACV) possiamo calcolare l’impatto che un dato prodotto genera sull’ambiente durante tutte le sue fasi di vita, con un approccio cradle to grave - dalla culla alla tomba – cioè dall’estrazione della materia prima alla sua disposizione finale, ossia quando il prodotto arriva a fin di vita e deve essere smaltito.

Oppure con un approccio più sostenibile, cioè quello cradle to cradle, dalla culla alla culla, che, come suggerisce la metafora, significa riciclare il prodotto quando non sia più utilizzabile, quando sia arrivato alla fine del suo ciclo di vita, così da recuperarlo per riiniziare un nuovo ciclo di vita.

Attraverso l’analisi del ciclo di vita potremmo arrivare a conoscere anche le quantità di anidride carbonica emesse in ognuna delle singole fasi del ciclo di produzione di un prodotto e quindi considerare il consumo di ettari di superficie necessaria per produrlo o gli ettari di superficie di bosco necessario ad assorbire e perciò compensare le tonnellate di CO2 emesse.

Possiamo quantificare il consumo di combustibile e pesarlo in litri, però, dal punto di vista ecologico, sicuramente sarà più indicativo usare come unità di misura le tonnellate di CO2 immesse nell’ambiente.

Oltre all’analisi del ciclo di vita, un altro indicatore molto importante è l’impronta ecologica (ecological footprint), che invece serve per determinate la quantità di risorse ambientali che ogni persona o determinata comunità utilizza, e che serve per fornire risposte rapide a domande che riguardano gli abiti di consumo delle persone, e quindi gli alimenti necessari al proprio sostentamento, fino ad arrivare alla generazione di rifiuti.

Con il calcolo dell’impronta ecologica si ottiene pertanto una stima approssimata della quantità di terreno necessario per sostenere una data comunità, producendo gli alimenti essenziali al sostentamento; si mette in relazione pertanto il consumo umano delle risorse naturali, con la capacità della terra di poterle generare.
Per considerare e quantificare i consumi e le emissioni abbiamo diverse unità di misura, che possiamo convertire mediante forma di equivalenza; Tonnellate di peso di materiale o tonnellate di CO2 equivalente a ettari di superficie o metri cubi di volume. 

Per misurare l’energia consumata disponiamo di un’altra unità di misura, il joule.
La possibilità di convertire l’impatto di un materiale in differenti unità è importante perché permette di comparare due fattori importanti: da una parte, il calcolo degli ettari di biocapacità necessari per produrre un bene e assorbire CO2, dall'altra il calcolo della tep (tonnellata equivalente di petrolio), che permette di specificare quante tonnellate di petrolio siano necessarie per produrre un Kg di materiale.

Come abbiamo detto in precedenza è possibile misurare e pesare, pertanto calcolare l’impatto di ogni materiale, ossia il suo grado di sostenibilità.

Possiamo usare l’analisi del ciclo di vita per comparare differenti alimenti, sistemi di trasporto, e forme di vita, nell’alimentazione sappiamo che gli ettari di campo per produrre gli alimenti di una determinata dieta, dipendono logicamente dai suoi componenti.

Ad esempio si è visto che per produrre un alimento di origine animale si necessitano molte più risorse che per produrre alimenti vegetariani.

Ciò si può spiegare in modo semplice. La produzione della carne a livello industriale intensivo, implica il soddisfacimento dell’alimentazione, della necessità d’acqua e di soddisfare i bisogni fisiologici e di salute di migliaia di capi di bestiame.

Analizziamo il tutto per gradi:
possiamo partire dalla premessa più intuitiva e dire che le proteine che consumano gli animali che alleviamo le potremmo consumare noi direttamente.

Basti pensare, infatti, che più del 40% dei cereali del mondo e più di 1/3 dei prodotti ittici siano utilizzati per alimentare il bestiame. Per ottenere 1 Kg di proteine di origine animale dobbiamo utilizzare tra i 3 e i 20 Kg di origine vegetale, secondo la specie e le modalità di allevamento utilizzate.

Questo dato è socialmente insostenibile, se pensiamo che la quinta parte de la popolazione mondiale non ha risorse per un’alimentazione sufficiente.
Il consiglio mondiale per l’alimentazione delle Nazioni Unite, calcola che basterebbe dedicare un 10-15% del grano che si destina al bestiame per soddisfare le necessità d’alimentazione di questa quinta parte che soffre la fame.

Il tema dell’efficienza energetica è il secondo argomento da considerare a vantaggio di un’alimentazione più ricca di vegetali, basti pensare che la stessa superficie di terreno può produrre fino a 26 volte più  proteine, se in esso si coltivano vegetali per consumo umano, invece che animale. Anche la deforestazione è strettamente collegata alla necessità di aumentare la coltivazione dei terreni per sostenere la domanda mondiale di foraggio.

Si può dire che al livello di gas serra il settore dell’allevamento influisce quasi come il trasporto e secondo uno studio della FAO, il settore è responsabile anche dell’emissione del 37% del metano, che si origina nel sistema digestivo dei ruminanti.
 Sicuramente altro aspetto da non trascurare è l’enorme consumo d’acqua che comporta l’allevamento. 

Pertanto per far sì che la nostra dieta sia più sostenibile e senza dubbio, come ormai accreditano anche numerose fonti mediche, più sana è necessario che sia più ricca di frutta e verdura, meglio se di origine locale per ridurre al minimo l’altro noto nemico dell’ambiente  che è il trasporto.

Anche perché il trasporto è un altro fattore determinante in termini di emissioni.
L’impronta ecologica del trasporto incide notoriamente sull'emissione di gas contaminanti all’atmosfera, e anche questa dipende totalmente dai nostri costumi. Si può parlare di spostamenti quotidiani, o saltuari, secondo il percorso che facciamo, se ci muoviamo per andare al lavoro, a fare spesa, partire per il week end o andare in vacanza.

Qui la differenza è molto più eclatante di quella osservata nell'alimentazione o nell'edilizia, altro settore che ovviamente contribuisce e non poco all'emissione di gas serra.

I dati che più incidono sono quelli che si riferiscono agli spostamenti che avvengono durante il fine settimana, per raggiungere le seconde case, ma soprattutto per spostarsi per le vacanze, infatti i voli sono carissimi in CO2.

Qui si vede quanta differenza ci sia nell'utilizzare un sistema di trasporto o un altro. 
Ovviamente, sotto il punto di vista del trasporto il mezzo più efficiente, in termini di sostenibilità è la bicicletta, quindi i mezzi pubblici come il treno o il tram e gli autobus.

Nel gruppo dei grandi contaminanti incontriamo senza dubbio i veicoli privati, dipendendo ovviamente dalle caratteristiche di ogni automobile, dalle dimensioni, dal carburante che le alimenta, dalle caratteristiche del motore più o meno efficienti dal punto di vista ecologico.

Come abbiamo già accennato, però, l’ultimo gradino della sostenibilità, in tema di trasporti la occupano gli aerei, basti pensare che per un viaggio andata e ritorno da Roma a Milano si emettono un totale di 0.38 t di CO2, e un viaggio fatto in macchina costa 0.24 t, contro le  0,07t di CO2 emesse per lo stesso tragitto in un viaggio in treno veloce.

Lascio a titolo di curiosità due link di calcolatori di CO2, ognuno può vedere quante emissioni produce, nei viaggi, nei pasti e persino nelle bollette dell’elettricità, a me ha fatto pensare molto!

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